Marzocco, 1994

maiolica, h 43x40x20 cm

Paolo Maione – Viaggiatore dell’anima
VITTORIA COEN

La leggerezza pungente dell’ironia è la cifra che da sempre contraddistingue il lavoro di Paolo Maione. In questa mostra le sue opere rispondono pienamente a quelle domande che l’artista ci pone, quel modo di sorridere per pensare, un mistero che Maione difende fortemente rispetto a superficiali considerazioni nelle quali si cade troppo spesso con risposte scontate. I materiali, anche solo per fare qualche esempio, le tecniche usate come bronzo, maiolica, terracotta, talvolta anche argento, già pongono lo spettatore di fronte all’aspetto fabrile di un lavoro il cui processo è, già di per sé, un cammino lento e profondo, così raro, oggi. Maione indica, dunque, la strada, la possibilità, di poter entrare meglio, nel suo mondo. La mostra si intitola Rasna, parola con la quale il popolo etrusco definiva sé stesso, una parola che evoca antiche identità culturali e, nello stesso tempo, – definisce e avvicina la distanza tra antico e contemporaneo. Una profonda conoscenza della storia dell’arte, un’instancabile curiosità, animano la ricerca dell’artista, e conducono a un pensiero che si fa materia attraverso un meticoloso processo creativo che porta a una tecnica ineccepibile, sicura, senza inciampi. Quello che colpisce, parlando con lui, è la sua profonda spiritualità, per la quale si è parlato anche di panteismo, poiché la sua sfera, la sua sensibilità, passano attraverso una rappresentazione che stupisce, che spiazza anche l’osservatore più attento. In questa mostra la dominante cromatica è il colore unico, tra i bronzi e le maioliche bianche che costituiscono una forma di azzeramento speciale che amplifica, dilata, l’aspetto concettuale di questa scelta particolare diversa da altre opere del passato caratterizzate da una vivace policromia. 
Con lo strumento dell’ironia e dell’autoironia Maione fa un discorso molto serio che comprende l’allegoria, attraverso le mutazioni che sono passate, anche in precedenza, attraverso lo studio dei grandi maestri tra i quali Boccioni, che lo colpisce per il carattere dinamico, come si evince dall’opera Parodia del 2021, o Donatello, e penso all’opera intitolata Marzocco, del 1995, una sorta di sfinge con testa umana.
Elementi, solo apparentemente estranei, si incontrano, appunto, nell’accostamento della figura umana e dell’animale. In Apostasie, del 2010, i ciuchi, animali emblematici prediletti dall’artista, indossano paramenti papali. Altrove, un’oca indossa un pullover moncler. Cane, Yeti, oca, sono solo alcuni dei soggetti considerati nella elaborazione di un pensiero, un’idea, che solcano la storia dell’arte occidentale, ma non solo. Il suo bestiario è vasto, anche se vi è un’evidente predilezione proprio per quei “ciuchi” che sono protagonisti assoluti della mostra nella Galleria Alessandro Bagnai. La maschera, le metamorfosi di Ovidio, ritratti del doppio, numerose sono le suggestioni.
Le opere di Maione, legate al sacro, umanizzano la religiosità. Un Dio Malato, terracotta del 2001, e un Dio convalescente, sono esempi illuminanti in questo senso. L’artista scrive che “il comico può essere la porta del sacro”. Nello stesso tempo egli parla del comico come “cosa” molto seria.

 

Il Sublime e il Comico è il titolo di un saggio di Theodor Vischer che, quando scrive nel capitolo Il comico dell’intelletto o della riflessione: l’arguzia, mette in luce che “Nel complesso appare fin qui evidente l’importante ruolo che nell’arguzia ha la memoria: una simile rapidissima combinazione è infatti possibile solo all’interno di una notevole provvista di rappresentazioni, notizie, ecc.
Per certi versi la ricerca dell’arguzia coincide – come si può dedurre da quanto affermato con la dottrina della legge dell’associazione di idee, che è poi il motivo per cui l’arguzia occupa un posto nell’ambito della psicologia”.
Cito me stessa in un passaggio del libro che scrissi e che si intitola L’idea e l’oggetto – Arte tra estetica e comunicazione: “Va ancora meglio se ad un sistema iconico parti-colare e consolidato si aggiungono procedimenti narrativi accanto ad elementi grafici formali, anche non classificabili in senso stretto, ma introdotti perché dotati di una virtualità utilizzabile…Si esce e si rientra liberamente nella casa dell’utile senza lasciare indietro la battuta e il divertimento”.
Spirituale e al tempo stesso ironico è il Ciuco stilita, la cui postura è inequivocabile, tanto da comprenderne l’aspetto ascetico, e riconoscerlo nella rappresentazione plasmica.
Paolo Maione entra, vive l’opera fin dal suo nascere, ed è come se l’artista diventasse “l’uomo nuovo” che si immerge nella natura poliforme del fenomenico, fatto di divinità, animali e cose, come nel caso della colonna di saponi marca “sole”, che regge proprio il ciuco stilita, o nell’utilizzo del soggetto “pneumatico”, che riporta alla terra, al tratto-re, alla sua campagna, al suo rifugio sensibile così importante per lo straniamento dal mondo divorato da un consumismo selvaggio.
L’artista non fa mistero di essere personalmente affascinato da credo diversi, tra Occidente e Oriente, un viaggiatore dell’anima.
Contrariamente a uno sguardo superficiale che potrebbe, infatti, ricordare echi pop dell’arte, questi innesti, queste interazioni tra sacro e profano, ci sfidano fino alla provocazione “dadaista” della leggerezza, ma superano il concetto di ready-made, si appropriano dell’oggetto quotidiano e fanno parte dell’opera stessa, assorbiti nella forma e non riproposti al di fuori della funzione iniziale.
La creazione artistica è in grado di determinare anche i cambiamenti individuali e sociali.
A volte l’arte sfugge alla vera e propria estetica che tende a riassumere l’identificazione di modalità e regole aprioristiche.
In poche parole, la teoria e la pratica non sempre si incontrano. Il ruolo della critica, che non è necessariamente di natura filosofica, è, prima di tutto, un sentire, un percepire, un voler entrare nei contenuti dell’arte, se non, attraverso una lettura fedele il più possibile all’opera che, a sua volta, supera la stessa volontà dell’artista.

Parodia, 2021

maiolica, h 85x40x60 cm

Ocio, 2015

maiolica, h 47x33x27 cm

Qui entriamo nella dimensione del genio e delle sue facoltà, del “non so che”, come a dire il vero, appare anche dalle considerazioni fatte da Emmanuel Kant. L’invenzione non è facilmente descrivibile, prova ne è che, non solo i filosofi, ma anche gli artisti sospendono il giudizio, o non trovano una soluzione.
È la stessa opera della creazione che si avvicina alle teorie estetiche, come scrive Ge-orge Kubler ne La forma del tempo – La storia dell’arte e la storia delle cose. Aggiungo anche che quella separazione tra l’immaginazione, l’opera e chi la realizza, senza fare moralismi, non appartiene alla sfera creativa di Paolo Maione, che realizza personalmente l’opera stessa.
Egli, orgogliosamente, porta a compimento tutte le fasi del proprio lavoro. In questo vi è tutto il compimento della storia della scultura del secolo scorso, quella che si libera dalla descrittività di maniera dell’Ottocento, per approdare gradualmente all’epoca delle Avanguardie Storiche.
Costantin Brâncuși traccia la via di un Minimalismo primigenio che si ispira ai totem intramontabili della cosiddetta “arte primitiva”, operazione che viene esercitata anche da Pablo Picasso, da Medardo Rosso, da Amedeo Modigliani, seppure in forme diverse. E qui si apre un grande tema che è quello della forma e dei materiali, bronzo e legno, per esem-pio, proprio nel caso di Brâncuși, che si alternano per suggerire un’idea corrispondente. Ma quel che conta è la forma.
Possiamo capire, dunque, perché certo Futurismo abbia affrontato lo stesso tema, in nome di un rifiuto totale del “prima”, che viene buttato via senza appello, decisamente e velocemente, in nome del nuovo. Prova ne è il Manifesto di Marinetti, una sorta di decalogo declinato come fosse Poesia Visiva.
Oggi, qui, a Firenze, ci troviamo di fronte a lavori realizzati in questi ultimi anni, fino alle più recenti sperimentazioni, la maggior parte, creati proprio per l’occasione.
Non possiamo non considerare la realizzazione del pensiero attraverso una forma, essenziale, minimale e totale, e attraverso tecniche e materiali. Ma chi è questo ciuco che assume sembianze diverse? Forse che la Firenze del Rinascimento è la stessa città che ha dato i natali a Carlo Collodi?
Ecco che, con un salto un po’ avventuroso, mi immergo in un mondo fantastico che mi ha fatto sempre pensare. Gli spunti possono esser infiniti e infinite le assonanze che l’opera di Maione non svela, mai, del tutto.
Trovarsi in questo spazio popolato da ciuchi antropomorfi e dalle loro mille identità, permette di leggere la coralità nella unicità e nella coerenza di un artista che vede lon-tano e che va oltre l’immaginabile, continuando a sfidare il tempo in cui siamo immersi, con uno sguardo personale e in totale libertà.
Non possiamo, guardando alcune sculture, non pensare ai riferimenti al mondo della classicità.

Dio malato, 2001

Dio malato, 2001

Il Ciukourus del 2023 è un chiaro riferimento al Kouros di Melos, nella sua ieraticità, nella sua postura eretta e nella sua frontalità, il manifesto di quel “giusto mezzo” greco che riassume nella bellezza corporea anche quella dello spirito. Ma è anche un corpo umano con la testa d’asino, invece che con la testa di cane, come la divinità dell’antico Egitto, Anubi, che rimanda alla morte, a un viaggio nell’aldilà, ma potrebbe anche far pensare all’inquietante Bottom che Titania abbraccia nella straordinaria tela di Heinrich Füssli, soggetto ispirato dalla commedia di Shakespeare Sogno di una notte di mezza estate, che il pittore svizzero traduce nel suo consueto modo un po’ giocoso, un po’ mostruoso, un mondo di fate e streghe, di creature misteriose e oniriche.
Certo, il Bottom di Füssli è un muscoloso corpo con la testa d’asino.
Il mistero avvolge anche Ciuco circadiano del 2023. L’artista non lo “spiega” chiaramente, e lascia all’immaginazione la lettura. L’abbraccio nel senso del ciclo biologico, nel rap-porto tra veglia e sonno, forse, il titolo lo fa pensare.
L’occhio si sposta, si allontana e si avvicina, da qualunque parte si osservi, questa scultura ci investe nella sua assolutezza e inesorabilità. Come sempre, l’ironia è una seria espressione dei contrari, della deviazione dal consueto, per entrare nella sfera del magico, del paradosso, fino alla parodia.
Paolo Maione spazia liberamente, mantenendo il timone dritto, anche se è pronto a virare verso un orizzonte più ampio. Egli è un artista che ha saputo sfidare il panorama internazionale dell’arte. È affascinato da esperienze e immersioni diverse, si concede allo stupore ma mai al caso.

Dio convalescente, 2001

terracotta, h 67x53x34 cm

L’avventura dell’arte è molto densa, ma poco identitaria. Gli stili sono tutti possibili, e, troppo spesso, l’omologazione prende il sopravvento, non solo, nelle arti visive, ma anche nella musica, nella letteratura, nel cinema.
Per quanto riguarda il periodo della storia dell’arte che vide l’America vincente nell’Action Painting, dopo la Seconda guerra mondiale, si deve tenere conto che molti artisti avevano, per esempio, origini europee, e portarono il loro contributo, in maniera più o meno evidente, realizzando quel coacervo esplosivo che ancora oggi mantiene intatta la sua forza.
Multiculturalità e non omologazione. Oggi, dico, proprio oggi, si vedono sparuti e deboli tentativi di accorpare tendenze, di costruire movimenti e, nello stesso tempo, aprire il mazzo di carte come in un poker in cui, in realtà, non vince nessuno. Questo è il triste e grossolano risultato di un tentativo di trasformare l’omologazione in globalità. Naturalmente si è da tempo abbandonato il concetto di “nuovo”, utopistica e criticabile aspirazione al non ancora detto, un valore che non è mai appartenuto all’arte e alla storia dell’arte, figlia di sé stessa attraverso i secoli.
È stata abbandonata la parola “bello” in favore di “interessante”, come se questo cambiamento significasse cambiamento radicale, l’uso dei modi e delle tecniche espressive alternativi, ma, censurare i sostantivi non risolve niente, non aggiunge proprio niente. Il bello è il bello storico, ma anche il bello soggettivo.
La Storia della bruttezza e la Storia della bellezza sono due saggi straordinari di Umberto Eco, che non era un critico d’arte, ma che apriva a significati poco noti nella storia del pensiero senza attardarsi in sterili convenzioni, cosa che, oggi, a volte, si fa, perché “non c’è più tempo” per pensare. Federico Zeri diceva letteralmente che non ci si deve lasciare andare alle tesi di filosofi, scrittori, persino ai professori universitari, o meglio, si deve poterle mettere in discussione usando la propria testa. Egli parlava di Longhi come di un guru che aveva la sua cerchia di adepti che subivano la sua fascinazione, ma lo definisce un formidabile scrittore, forse, unico.
Anche gli artisti mettono in discussione ciò che è stato già fatto, e rileggono la storia dell’arte con occhio contemporaneo. Quanti di loro amano i Manieristi, che sono stati considerati, per molto tempo, artisti minori.
E, nella scultura, il concetto del non finito è stato abbracciato in pieno dalla critica moderna, per il fascino che questa espressione esercita a favore del mutamento della forma nell’ottica novecentesca, come il fascino della Nike di Samotracia, enfatizzato dall’assenza della testa.
Paolo Maione vola oltre come il Barone rampante e ci insegna a non dare niente per scontato, preferendo, invece, un tempo sospeso che non cerca l’approdo in soluzioni pacifiche e consolatorie.
Al contrario, caparbiamente, decide di vivere la propria dimensione più libera, anche se più rischiosa, poiché l’arte, come il ramo dell’albero nel romanzo di Italo Calvino, non risolve, non dà soluzioni, ma consente di uscire dal coro.